Sospensioni



"Sospensioni"
cm 50x70
2009


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Nel vento



"Nel vento"
cm 30x45
2009

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Paestum Arte 2009




“Paestum Arte 2009 - I Maestri del Colore”

“Paestum Arte 2009 - I Maestri del Colore” è una mostra ideata e organizzata dall'Associazione Shunt Onlus e il sito www.tuttarteonline.it (portale dedicato al mondo dell'arte con più di due milioni di pagine visitate in pochi anni).
In esposizione, dal 1 luglio al 31 agosto 2009, le opere di: Palumbo, Faccincani, Nardoni, D'Auto, Santarini, Montariello, Fortunato, Malacarne, Scaccabarozzi, Nesi. La mostra verrà ospitata nel cuore pulsante della Zona Archeologica, in uno spazio allestito e curato da Francesco Cairone, situato a pochi passi dalla Chiesa Paleocristiana e dalla meravigliosa cornice delle rovine greche, che, imponenti, sovrastano la valle, incantando e rapendo lo sguardo di tutti i viaggiatori che vi si imbattono.
L'obiettivo è quello di creare un evento unico ed esclusivo, riunendo, in un'esposizione collettiva, dieci prestigiosi pittori del Novecento, e dando vita a una mostra dall'equilibrio ricercato e raro e dal tessuto compositivo armonioso e brillante, nonostante le peculiarità concettuali, tecniche ed espressive che differenziano i dieci artisti.
Ciro Palumbo plasma realtà metafisiche piene di suggestioni simboliche, esplorando terreni arcani e e nascosti che ci riportano alle origini mitiche della nostra civiltà. Da stanze affacciate sul cielo si accede a una realtà fatta di Sogni, e solcando un mare mistico si approda a isole salvifiche e misteriose.
Athos Faccincani, principe della luce, attraverso uno stile spontaneo e naif, e grazie all'uso di macchie di colori prorompenti, riesce a rapire l'essenza della natura, rubando ad ogni singolo ramoscello la linfa vitale che gli permette di rendere viva la tela bianca. E nell'immediatezza delle impressioni suscitate è racchiusa la sua forza.
Sergio Nardoni, brillante artista fiorentino, viene definito il pittore dell'amore, in virtù delle sue composizioni doviziose e fortemente “descrittive”, dal sapore romantico ma anche vagamente barocco.
Romano Santarini, artista dal tratto incisivo e definito, attento nel bilanciare i colori, crea composizioni surreali e paradossali permeate da un iperrealismo dai toni caldi e luminosi.
Nera D'Auto, pittrice informale, usa il colore come veicolo espressivo di flussi emotivi e istintivi quasi primordiali, ed è sempre alla ricerca di uno spazio aggiuntivo che superi le barriere fisiche della tela.
Franco Fortunato, l'artista di sogni visionari e di viaggi infiniti attraverso scenari surreali e “magrittiani”, si serve di equilibri geometrici impeccabili per spezzare il senso della realtà fenomenica e andare oltre, in uno spazio dove il reale rinnega se stesso e sembra diventare una pura illusione.
Ennio Montariello, genio della perfezione e della minuzia, rappresenta una femminilità ammiccante e seducente, dove la bellezza si fa nutrice e custode di segreti ancestrali e misteriosi.
Francesco Nesi è un cantore di fantasmagoriche e sorprendenti favole a colori, dotate di vivacità, dinamismo e vividezza. Claudio Malacarne è un artista che riesce a coniugare le linee evanescenti della natura come nessun altro, sortendo effetti visivi originali e pregnanti, e, catturando la gestualità apparentemente insignificante di atti quotidiani, svela significanze nuove e inattese.
Gerry Scaccabarozzi, infine, dà vita, nelle sue tele, a delicate favole attinte dalle tradizioni, e mescola cultura popolare con suggestioni religiose, sortendo un effetto di diafana e sottile dolcezza. Un “assaggio” della mostra collettiva sarà visibile anche presso la “Tuttarte Esposizioni d’Arte”, a Capaccio Scalo, in via Salvo D'Acquisto 81. Tutte le esposizioni saranno visibili sui siti www.tuttarteonline.it e www.museopolivalente.com.

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I Viaggi di Colombo




"I Viaggi di Colombo"
Il cenacolo degli artisti

Mostra collettiva
Villa Cambiaso - Via Torino 10 - Savona
da sabato 6 a domenica 14 giugno 2009

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Teatro



"Teatro"
2009


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Isolotto



"Isolotto"
2009


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Progetto scultura in collaborazione con Antica Opera Romana

Il mistero scolpito
di Andrea Diprè


Le sculture di Ciro Palumbo non solo riescono a contenere in sé una immagine innica e purissima dell’esistenza, ma, ecco, sulle ali delle loro fascinazioni favolose e sognanti, propongono, di bel nuovo, il moto più arcano e sacro dell’esistere; quello proprio alle cellule più tenere e mute; quello proprio al sangue più sacrificale e ardito. Non basta loro restare lì, fiori di una bellezza che non ha riscontri e soprattutto rapporti con nulla di quanto oggi l’arte ci mostra; esse dichiarano di volerci ancora parlare. Certo, Palumbo è indubbiamente un sognatore, un esploratore marziano. I suoi viaggi e le sue isole appartengono più agli Dei, o al Mito, che al destino degli uomini. E come tutti i sognatori e gli aristocratici agrimensori extraterrestri egli è pavido del risveglio in una troppo palese, troppo amara, troppo nota realtà. Ma è altrettanto certo che Palumbo sa al momento opportuno determinarsi, e padroneggiare perfettamente le immagini sognate. La sua scultura nasce adulta e agguerrita, senza incertezze, dominata dalla quasi prometeica volontà di afferrare l’inesprimibile. Il mistero scolpito nella grana di un richiamo che sibila silenzio visibile trasferendo l’ombra dentro un teatro di nostalgia. Risonanze di vibrazioni sulla chimica del tempo, la bellezza prende corpo nel richiamo di un sosia spettrale più antico. Un luogo impenetrabile come la spoglia cella di un tempio è la camera oscura di arcane apparizioni di volumi d’ombra. Nell’opera scultorea di Palumbo, un mare di irrealtà attendono i relitti preziosi di un naufragio lontano nel tempo. La risacca ci regala frammenti di passato ineludibile. Archeologia immaginata, quella del formidabile artista piemontese, trasformata in speleologia degli anfratti del corpo umano. Il suo ricorso allusivo a un passato che ritorna lo porta a contemplare una bellezza che non sfiorisce, è come una muta, una pelle abbandonata, che non sboccia, è sbucciata, come l’ennesima reincarnazione del tempo. La modernità “classica” di Ciro Palumbo viene, dunque, da lontano, dai primordi, o dagli archetipi; ed è lui, anzi, il responsabile di un’idea fondamentale, quella secondo la quale il Moderno non può che avere un cuore antico, non può che rilanciare nel futuro più vicino le istanze del passato più remoto. L’idea, ancora umanistica, che ha guidato gran parte del XX secolo, secondo la quale il destino dell’uomo può essere felice solo se si accorda con i principi assoluti che indirizzano, da sempre, i suoi desideri e la sua ricerca di verità. Non c’è civiltà che non abbia innalzato i propri totem, e se la nostra non saprà farlo con la qualità e l’altezza dovute, quello sarà il primo segno del suo fallimento. Ecco il messaggio anticipatore trasmessoci da un artista, Ciro Palumbo, che vive nell’eternità, per rispondere alle domande di un tempo senza ormeggi e forse senza grandezza.


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"Itaca"

scultura in terracotta


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"Itaca" (particolare)
scultura in terracotta


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"Itaca" (particolare)
scultura in terracotta


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"Proteggi il tuo sogno"
scultura in terracotta


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"Proteggi il tuo sogno" (particolare)
scultura in terracotta


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"Proteggi il tuo sogno" (dall'alto)
scultura in terracotta


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"Tu, la tua isola"
scultura in terracotta


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"Tu, la tua isola" (dall'alto)
scultura in terracotta


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"Tu, la tua isola"
scultura in terracotta


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"Itaca"
scultura in bronzo


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"Itaca" (dall'altro)
scultura in bronzo


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"Itaca" (di lato)
scultura in bronzo


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"Proteggi il tuo sogno"
scultura in bronzo


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"Proteggi il tuo sogno" (lato)
scultura in bronzo


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"Proteggi il tuo sogno" (retro)
scultura in bronzo


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"Tu, la tua isola"
scultura in bronzo


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"Tu, la tua isola" (retro)
scultura in bronzo


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"Tu, la tua isola" (particolare)
scultura in bronzo


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In volo!



"In volo!"
cm 60x70
2008

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Solitudini



"Solitudini"
2008

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A navigar nello spazio


"A navigar nello spazio"
2008

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Sospensioni



"Sospensioni"
2008

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L'arrivo di Francesco



"L'arrivo di Francesco"
2008

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Nuvole di pensieri



"Nuvole di pensieri"
cm 50x70
2009


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Piccoli sogni volano



"Piccoli sogni volano"
cm 30x35
2009


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Attraverseremo lune



"Attraverseremo lune"
cm 50x70
2009

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Dove ti condurrò



"Dove ti condurrò"
cm 45x65
2009

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Sospensioni nel sogno



"Sospensioni nel sogno"
cm 60x70
2009


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Il mago giocoliere



"Il mago giocoliere"
cm 50x60
2009

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Navigando



"Navigando"
cm 30x35
2009

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Piccoli sogni volano



"Piccoli sogni volano"
cm 30x35
2009

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L'idea



"L'idea"
cm 30x35
2009


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Chiara Manganelli

IL LUOGO DEL NON LUOGO
LA CITTA' ALTROVE
OLTRE LA REALTA' FISICA:
POLIS META-FISICHE'
DI CIRO PALUMBO

"I sogni non vogliono farvi dormire, al contrario, vogliono svegliare."
(R. Magritte)

Un luogo etereo, silente, affastellato di simboli magici e onirici, dove ogni cosa non si limita a essere unicamente ciò che sembra, ma racchiude sempre una doppia anima, una lettura “altra”, una sfumatura nascosta che si svela solo se si è capaci di superare i consueti canoni interpretativi per abbracciare strade nuove e sorprendenti. In questo luogo ciò che appare rimanda altrove, a substrati dimensionali e temporali seppelliti tra le stropicciature ammiccanti e sonnecchianti di un “Io” segreto e arcaico, evanescente ma potente, teatro di stratificazioni emotive, spirituali e “filogenetiche” millenarie, magnificamente feconde e visionarie. Un mondo che serba nella propria essenza significati arcani e trascendenti, che trovano senso e intelligibilità solo compiendo un salto quantico all'interno di noi stessi.
E' la “Polis Meta-fusichè”, il nuovo progetto artistico di Ciro Palumbo, che richiama capolavori della letteratura e del pensiero filosofico come la “ Res Pubblica” di Platone”, “Utopia” di Thomas More, “La Città del Sole” di Tommaso Campanella e le “Città Invisibili” di Italo Calvino.
I riferimenti concettuali a questi testi sono più o meno evidenti e palesi, ma in Palumbo non c'è, ovviamente, una volontà di teorizzare un sistema politico ottimale da applicare a un qualche sistema sociale. L'analisi del pittore torinese va ben oltre e si articola su un altro piano di realtà: egli parla per simboli figurativi senza voler stabilire aprioristicamente dei canoni e dei parametri universali. E' colui che guarda che deve decodificare i messaggi presenti sulle tele di Palumbo, e percepirli, elaborarli, farli propri, grazie a un processo maieutico che parte dall'evocazione di una miscellanea di sensazioni ed emozioni – magnifica prerogativa esclusiva dell'arte - per arrivare a una consapevolezza profonda di Sè e di ciò che ci circonda. Dunque, come nelle “Città Invisibili” le città esistono solo nella mente del viaggiatore (Marco Polo), così, nella polis metafisica, è lo spettatore che crea la sua città nel momento in cui la contempla, rendendola viva, pulsante, reale e tangibile. E Palumbo, come Calvino, diviene l'affabulatore che inventa e plasma i mondi che dipinge, trasformando la pittura in “metapittura”, attraverso un processo “metanarrativo” per immagini.
La città metafisica è dunque un'utopia. Ma il termine deve essere inteso secondo l'accezione originale, dal greco antico (“ou-topos” = non-luogo), e non secondo l'accezione che ha assunto nell'attuale vocabolario comune, che l'ha snaturato, trasformandolo in sinonimo di qualcosa di irrealizzabile e impossibile. Il “non-luogo” è un luogo che, al contrario di quanto potrebbe apparire, non nega altri ipotetici luoghi attraverso una determinazione precisa e categorica di attributi e valenze, bensì è il luogo che, proprio perchè non si caratterizza in modo preciso e incontrovertibile, può essere tutti i luoghi possibili. Qui la negazione non è un limite o un vincolo, ma una risorsa, una chiave che apre infinite serrature.
La città, normalmente, ci fa pensare a qualcosa di soffocante, a un gorgo ingarbugliato di cemento liquido e caos. Ma la città metafisica è cosa assai differente. E' un “non-luogo”, appunto, e come tale, in virtù di un sillogismo quasi naturale, è il luogo del Sogno.
La polis di Palumbo ammicca, seduce, ma bandisce dalle proprie vie e piazze l'occhio raziocinante, il Sè cerebrare che tutto controlla (o si illude di controllare!) e tutto ghermisce con ottundimento e arroganza, secondo inappellabili e ferree regole “algebriche”.
Questa “città del sogno” si snoda tra i dedali affascinanti e ambivaleti dell'inconscio, e lì si nutre di linfa e di luce.
Tra i palcoscenici suggestivi delle opere di Palumbo, popolati da angeli e palazzi irriverenti e indisciplinati, appare un'isola fantasmagorica, sospesa tra mare e terra; essa rappresenta il tempio consacrato all'universo onirico. E qui c'è un chiaro riferimento alla “Città del Sole” di Campanella.
L'isola è il territorio di partenza e di approdo; è al contempo una porta che si spalanca su viaggi rocamboleschi e una sorta di Itaca metafisica, che fluttua oltre il tempo, nutrendosi dei sogni latenti dell'anima.

"Se nel sonno la coscienza si addormenta, nel sogno l'esistenza si sveglia."
(M. Foucault)

Chiara Manganelli


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Paolo Levi

L’INQUIETUDINE DEL SOGNO

Ciro Palumbo è un artista che ama la provocazione, ma non tanto nel senso di una sfida, quanto come intento di sedurre. Egli proviene, o per meglio dire, si è immesso da tempo nella tradizione metafisica: gli interni abitati solo da oggetti inanimati e da sculture classiche, i paesaggi marini con un’isola, sono evidenti richiami a Giorgio de Chirico e ad Arnold Böcklin. Ma nel suo modo di concepire l’arte pittorica – lavorio continuo e meditato, fatto di applicazione, di studio del colore e degli spazi, di preciso calcolo delle alternanze fra pieni e vuoti, di calibratura dei toni, dell’ombra e della luce – egli lascia anche trapelare la sua devozione ai maestri del museo della storia dell’arte italiana, e più in particolare alla tradizione rinascimentale, quando la creazione artistica rispondeva a leggi prospettiche e compositive ineludibili. Le sue espressioni figurali riferiscono quindi di una cultura profondamente assimilata e di un percorso meditato e coerente alla ricerca dei sottili legami che collegano l’arte classica alla modernità.
Da un punto vista strettamente stilistico, egli non sembra appartenere al nostro presente – del resto la sua eleganza è felicemente lontana da certe esibizioni che ci sottopongono gli artisti di oggi – e tuttavia va sottolineata la qualità concettuale della sua ricerca tematica e visiva, che si svolge in un contesto impregnato di emotività e di sensibilità tutta contemporanea. Quando affronta la tela non lascia nulla al caso: i suoi pigmenti variegati e aggreganti completano un’intensa trama segnica, perfettamente preordinata. Le isole, il mare, gli oggetti nelle stanze vuote, le statue di memoria ellenistica, si compongono in strutture rigorosamente equilibrate, sia dal punto di vista spaziale, sia della coerenza contenutistica, dove le immagini traducono i simboli onirici in allegorie dell’assenza e del silenzio. Le finestre che si aprono verso il mare, le costruzioni circondate dagli alberi, i cieli spesso ombrosi di nuvole, segnano un universo di linee, di masse, di colori forti, di stesure tutt’altro che semplici.
Ma questo non è sufficiente per continuare a ripetere la sua adesione agli stilemi della metafisica, in quanto i suoi fondi contrastano con le masse cromatiche uniformi e asettiche, che caratterizzano gli oggetti in primo piano, seguendo una linea tonale diversa e mossa da sovrapposizioni di colori ben leggibili. A livello esclusivamente visivo, se si accolgono otticamente queste campiture, ci si accorge come Palumbo abbia anche seguito la lezione tecnica dell’Informale.
Ciro Palumbo non è solo un pittore, ma di fatto un poeta che riflette, agisce e compone per coniugare metafore sull’inafferrabilità del tempo e l’incommensurabilità dello spazio, mostrando quindi la sua capacità di approfondire l’osservazione non tanto della natura, quanto delle impressioni immaginifiche che provengono dalla memoria di un tramonto o di un’alba sul mare. Emblematica a questo proposito l’assenza totale dell’uomo: solo effigi statuarie evocano i sentimenti congelati di amori inesprimibili.
Il vuoto e l’assenza però si aprono talvolta al gioco, insinuando la malizia di un teatrino, di una barchetta, di un Pinocchio, di una palla, di un cappello da illusionista. In tutto questo c’è forse una rievocazione dell’infanzia, come momento magico di verità. A questo si aggiunge il sospetto che anche le citazioni classicistiche vogliano rimandare a un mondo arcaico più sapiente e più semplice da capire, a una sorta di infanzia dell’umanità, popolata da demoni e divinità protettive. Un mondo legato ai cicli della natura di cui rimangono solo le immagini archetipiche dei nostri sogni.

Paolo Levi

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MARE DI PAROLE
OCEANI DI COLORI
“Ecco, tu sai che la poesia è creazione e ha un significato quanto mai vasto; tutto ciò, infatti, per cui qualcosa passa dal non essere all'essere è poesia, e quindi ogni attività creativa è poesia, e tutti i creatori sono poeti”
Platone, Simposio

“Il mare è un antico idioma che non riesco a decifrare”

Jorges Luis Borges

Un mare.
Mare che si muove articolando sussurri e si intreccia alle sferzate del vento di libeccio.
Mare che nella notte inghiotte e intrappola tra reti di fioche lampare i sogni sospesi nel cielo, e li rigurgita all'alba sull'orlo iridescente della battigia, accoccolati tra le insenature eburnee delle conchiglie.
Sulla sua superficie irrequieta si increspano e incespicano orde di desideri che si accartocciano e si avviluppano tra loro, precipitano affondando tra gli abissi, per poi risalire coperti di salsedine e fradici di azzurro.
Le voci mute dei pesci guardano i pionieri temerari che si avventurano nell'imprevedibile languore del suo mistero come fossero schivi schiavi di romitaggi paradossali senza fine.
Le parole sono come sassi piatti che spezzano la quiete immobile, disegnando anelli concentrici dentro i quali si insinuano gli sguardi obliqui e audaci di segreti che sgranano tra le pupille lapilli di bellezza suadente e silente.
Una mano raccoglie le conchiglie sparse sulla sabbia, le ausculta, le strofina ripulendole dai detriti, le nutre di sole e le ripone dentro uno scrigno sommerso. Lì il tempo le consuma, ne divora l'involucro calcareo, fino a lasciarne intravvedere la loro anima nascosta. Quando la mano apre lo scrigno si sprigionano spirali di colori cangianti e fiumi di parole incandescenti.
Fiumi che portano al mare. Spirali che si arrampicano fino al cielo.


VOYELLES

A nera, E bianca, I rossa, U verde, O blu: vocali!
Un giorno dirò le vostre segrete origini:
A, nero vello sul corpo di mosche splendenti
Che ronzano intorno a crudeli fetori,

Golfi d'ombra; E, candori di vapori e tende,
Lance di fieri ghiacciai, bianchi re, brividi d'umbelle;
I, porpora, rigurgito di sangue, labbra belle
Che ridono di collera, di ebbrezze penitenti;

U, cicli, vibrazioni divine dei verdi mari,
Pace di pascoli d'animali, pace di rughe
Che l'alchimia imprime sulle ampie fronti studiose;

O, suprema Tromba piena di strani stridori,
Silenzi attraversati da Angeli e Mondi:
O, l'Omega, raggio viola dei suoi Occhi!

Arthur Rimbaud



�Mare di parole” è l'ultimo progetto artistico di Ciro Palumbo. Un progetto che mescola risonanze letterarie e metafisica pittorica, creando interessanti e suggestive commistioni concettuali, stilistiche e tecniche.
Le parole, nelle opere di Palumbo, diventano supporto su cui distendere e dipanare la fantasia. Un mare placido e accogliente di segni impalpabili, ricolmi di significati e ammiccamenti. Palumbo prende le parole e le ri-racconta, le ri-combina, rifacendosi a una lunga tradizione artistica che vede nel Novecento il secolo della “poesia visiva”, in cui le parole diventano anche immagini, slittando verso nuovi orizzonti semantici, e vengono arricchite e impreziosite attraverso la pittura, la cinematografia e le arti visive.
Una tradizione che vede il proprio geniale antesignano in Arthur Rimbaud, nella sua poesia veggente, struggente e ruggente, nelle sue vocali che acquistano valenze emozionali e cromatiche. Perchè la letteratura non interessa solo il senso della vista, ma solletica e risveglia anche gli altri sensi.
Il legame tra immagine e parola è atavico e affonda le proprie radici nella culla della civiltà: i geroglifici egizi sono un esempio di come, in molte società antiche, immagine e scrittura fossero intrinsecamente connesse. Il nostro alfabeto occidentale moderno, invece, contiene grafismi che non hanno nessun nesso con le immagini mentali, e il segno è una pura convenzione concettuale e autoreferenziale, che non rimanda a nessun codice visivo noto. Un astrattismo estremo, dunque, che ha creato, nella nostra cultura, un divario enorme tra linguaggio e rappresentazione.
Palumbo prosegue un cammino intrapreso dai futuristi e ricalcato poi dai surrealisti, dai dadaisti e dalla pop art. Riprende l'affascinante tradizione del calligramma, un genere di poesia che risale all'antichità classica (il tecnopegnio di Simmia di Rodi, IV sec. a.C), che si sviluppa nei secoli XV e XVI, con la poesia figurativa umanista, fino ad essere ripreso dalle avanguardie artistiche del novecento, e che trova in G. Apollinaire uno dei suoi più celebri esponenti.
Questo genere letterario coniuga esigenze dialogiche e risonanze figurative, assemblando i significanti in modo da creare architetture grafiche bizzare e bizzose, dando vita a un “versilibrisme” affascinante e paradossale.
Nelle tele di Palumbo non ci sono cannoni che sputano lettere, come in G. Severini, nè vortici di parole, come in F. Depero; la sua poetica si differenzia dal movimento futurista, sia dal punto di vista concettuale, sia dal punto di vista formale, perlustrando diverse sfaccettature del binomio pittura-letteratura.


“Cara immaginazione, quello che più amo in te è che non perdoni.
La sola parola libertà è tutto ciò che ancora mi esalta. La credo atta ad alimentare, indefinitamente, l'antico fanatismo umano. Risponde senza dubbio alla mia sola aspirazione legittima. Tra le tante disgrazie di cui siamo eredi, bisogna riconoscere che ci è lasciata la massima libertà dello spirito. Sta a noi non farne cattivo uso. Ridurre l'immaginazione in schiavitù, fosse anche a costo di ciò che viene sommariamente chiamato felicità, è sottrarsi a quel tanto di giustizia suprema che possiamo trovare in fondo a noi stessi.”

André Breton, Manifesto del Surrealismo


Nelle opere dell'artista torinese la letteratura si veste di un senso mistico e onirico, è un ordito che intesse ancestrali memorie, miti e leggende, è una chiave per aprire le porte socchiuse dell'inconscio e del Sogno. La parola non è esplosione fragorosa, gioco dinamico e concitato, ma diventa simbolo lieve che si affaccia sulla realtà interiore piuttosto che sulla realtà esteriore, è forza centripeta anziché centrifuga, e rappresenta universi metafisici e surreali, che affondano le proprie radici nell'intimità dell'individuo, nel suo mondo segreto e nascosto, in bilico tra inconscio soggettivo e inconscio collettivo.
Letteratura e pittura si intersecano e attingono l'una dall'altra, giocano a rincorrersi, a specchiarsi reciprocamente, a scambiarsi stilemi e paradigmi, e l'intreccio che ne sortisce è un'alchimia suggestiva, evanescente, delicata.
La parola possiede anche una sua estetica visiva e formale, così come l'immagine racchiude in sé sprazzi di poesia e lirismo.


ll viaggio finisce qui:
nelle cure meschine che dividono
l’anima che non sa più dare un grido.
Ora i minuti sono eguali e fissi
come i giri di ruota della pompa.
Un giro: un salir d’acqua che rimbomba.
Un altro, altr’acqua, a tratti un cigolio.
Il viaggio finisce a questa spiaggia
che tentano gli assidui e lenti flussi.
Nulla disvela se non pigri fumi
la marina che tramano di conche
i soffi leni: ed è raro che appaia
nella bonaccia muta
tra l’isole dell’aria migrabonde
la Corsica dorsuta o la Capraia.
Tu chiedi se così tutto vanisce
in questa poca nebbia di memorie;
se nell’ora che torpe o nel sospiro
del frangente si compie ogni destino.
Vorrei dirti che no, che ti s’appressa
l’ora che passerai di là dal tempo;
forse solo chi vuole s’infinita,
e questo tu potrai, chissà, non io.
Penso che per i più non sia salvezza,
ma taluno sovverta ogni disegno,
passi il varco, qual volle si ritrovi.
Vorrei prima di cedere segnarti
codesta via di fuga
labile come nei sommossi campi
del mare spuma o ruga.
Ti dono anche l'avara mia speranza.
A nuovi giorni, stanco, non so crescerla:
l'offro in pegno al tuo fato, che ti scampi.

Il cammino finisce a queste prode
che rode la marea col moto alterno.
Il tuo cuore vicino che non m’ode
salpa già forse per l’eterno.
Eugenio Montale, Ossi di seppia, Meriggi e ombre, Casa sul mare

Il connubio crea equilibrismi arditi, logiche dialogiche, contaminazioni che fondando un linguaggio nuovo, che non è solo sintesi degli elementi, ma qualcosa di più. Il potenziale espressivo non aumenta solo in termini quantitativi, ma anche, e soprattutto, sotto un profilo qualitativo.
L'impiego di collage di pagine di libri sulla tela crea un effetto visivo di stratificazione e sovrapposizione di pensieri, sogni, storie e immagini, che, concettualmente, rimanda a una radice originaria che restituisce senso al presente. E' un modo di raccontare, attraverso il potere evocativo della pittura, ciò che a volte sfugge all'affabulazione pura, di ampliarne l'effetto catartico e proiettivo e di incrementarne la forza narrativa.
Un mare di parole dipinte dove fluttuano i sogni, zattere salvifiche che dispensano riparo dalle tempeste; un mare dove si recupera il filo rosso dell'esistenza, dove lo spettatore può voltarsi e guardare da dove viene e al contempo, proprio in virtù di ciò, può immergersi negli abissi del proprio essere, nel proprio tumultuoso e magmatico oceano, intraprendendo un viaggio infinito e incessante, un'odissea epica, misteriosa e incalzante.
E se si riesce a oltrepassare Scilla e Cariddi significa che l'isola è vicina, che il tempo può essere ingannato, che il canto delle sirene non ha mistificato i desideri e offuscato la rotta.

“[...]
Sul mare salato
si posa la luce e sui campi
d'ogni parte fioriti, e la bella
rugiada discende e le rose
fioriscono e i cerfogli
delicati
e il meliloto spruzzato
di bianco.
[...]
Saffo, poesie d'amore, 96. V.


“Più di quanto sia lecito,
più di quanto sia possibile,
come
un delirio di poeta incombe nel sogno,
enorme si fece il groppo del cuore,
enorme l'amore,
enorme l'odio.”
[...]
Vladimir Vladimirovic Majakovskij


“Chi può capire qualcosa della dolcezza se non ha mai chinato la propria vita, tutta quanta, sulla prima riga della prima pagina di un libro?”
Alessandro Baricco, Castelli di Rabbia

“I nostri sogni e desideri cambiano il mondo”
Karl Popper

“Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare”
Seneca


La notte impone a noi la sua fatica
magica. Disfare l'universo,
le ramificazioni senza fine
di effetti e di cause ch si perdono
in quell'abisso senza fondo, il tempo.
La notte vuole che stanotte oblii
il tuo nome, i tuoi avi e il tuo sangue,
ogni parola umana e ogni lacrima,
ciò che potè insegnarti la tua veglia,
l'illusorio punto dei geometri,
la linea, il piano, il cubo, la piramide,
il cilindro, la sfera, il mare, le onde,
la guancia sul cuscino, la freschezza
del lenzuolo nuovo...
Gli imperi, i Cesari e Shakespeare
e, ancora più difficile, ciò che ami.
Curiosamente, una pastiglia può
svanire il cosmo e costruire il caos.

Jorges Luis Borges, Il sogno

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La tua isola



"La tua isola"
olio su tela
cm100x100
2009


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Sospensioni nel vento



"Sospensioni nel vento"
olio su tela
cm 70x70
2009


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E vola, volavia



"E vola, volavia"
olio su tela
cm 100x100
2009


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Prigioniero del tuo specchio



"Prigioniero del tuo specchio"
olio su tela
cm 60x60
2009

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Sospensioni



"Sospensioni"
olio su tela
cm 80x80
2009


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Amori sotto la luna



"Amori sotto la luna"
olio su tela
cm 40x50
2009


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Quel vento tra le strade



"Quel vento tra le strade"
olio su tela
cm 50x80
2009


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Attraverso le vie



"Attraverso le vie"
olio su tela
cm 50x60
2009


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Libera nel sogno



"Libera nel sogno"
olio su tela
cm 100x120
2009


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Quale maschera?



"Quale maschera?"
olio su tela
cm 80x100
2009


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Fuga nella notte



"Fuga nella notte"
olio su tela
cm 50x60
2009


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Solitudini



"Solitudini"
olio su tela
cm 30x30
2009


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