Il mistero scolpito

Il mistero scolpito

di Andrea Diprè

Le sculture di Ciro Palumbo non solo riescono a contenere in sé una immagine innica e purissima dell’esistenza, ma, ecco, sulle ali delle loro fascinazioni favolose e sognanti, propongono, di bel nuovo, il moto più arcano e sacro dell’esistere; quello proprio alle cellule più tenere e mute; quello proprio al sangue più sacrificale e ardito. Non basta loro restare lì, fiori di una bellezza che non ha riscontri e soprattutto rapporti con nulla di quanto oggi l’arte ci mostra; esse dichiarano di volerci ancora parlare.

Certo, Palumbo è indubbiamente un sognatore, un esploratore marziano.

I suoi viaggi e le sue isole appartengono più agli Dei, o al Mito, che al destino degli uomini. E come tutti i sognatori e gli aristocratici agrimensori extraterrestri egli è pavido del risveglio in una troppo palese, troppo amara, troppo nota realtà. Ma è altrettanto certo che Palumbo sa al momento opportuno determinarsi, e padroneggiare perfettamente le immagini sognate. La sua scultura nasce adulta e agguerrita, senza incertezze, dominata dalla quasi prometeica volontà di afferrare l’inesprimibile. Il mistero scolpito nella grana di un richiamo che sibila silenzio visibile trasferendo l’ombra dentro un teatro di nostalgia. Risonanze di vibrazioni sulla chimica del tempo, la bellezza prende corpo nel richiamo di un sosia spettrale più antico. Un luogo impenetrabile come la spoglia cella di un tempio è la camera oscura di arcane apparizioni di volumi d’ombra. Nell’opera scultorea di Palumbo, un mare di irrealtà attendono i relitti preziosi di un naufragio lontano nel tempo. La risacca ci regala frammenti di passato ineludibile. Archeologia immaginata, quella del formidabile artista piemontese, trasformata in speleologia degli anfratti del corpo umano. Il suo ricorso allusivo a un passato che ritorna lo porta a contemplare una bellezza che non sfiorisce, è come una muta, una pelle abbandonata, che non sboccia, è sbucciata, come l’ennesima reincarnazione del tempo. La modernità “classica” di Ciro Palumbo viene, dunque, da lontano, dai primordi, o dagli archetipi; ed è lui, anzi, il responsabile di un’idea fondamentale, quella secondo la quale il Moderno non può che avere un cuore antico, non può che rilanciare nel futuro più vicino le istanze del passato più remoto. L’idea, ancora umanistica, che ha guidato gran parte del XX secolo, secondo la quale il destino dell’uomo può essere felice solo se si accorda con i principi assoluti che indirizzano, da sempre, i suoi desideri e la sua ricerca di verità. Non c’è civiltà che non abbia innalzato i propri totem, e se la nostra non saprà farlo con la qualità e l’altezza dovute, quello sarà il primo segno del suo fallimento. Ecco il messaggio anticipatore trasmessoci da un artista, Ciro Palumbo, che vive nell’eternità, per rispondere alle domande di un tempo senza ormeggi e forse senza grandezza.


La scultura "Itaca"




















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La scultura "proteggi il tuo sogno"













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