Adriano Olivieri

Raggiungere il “meta”
Di Adriano Olivieri

Nella vasta e variegata moltitudine di pittura figurativa, prodotta da un po’ di anni a questa parte, pare che un ruolo di primissimo piano, oltre certe sperimentazioni sulla materia – memori ancora dell’informale –, sia stato ricoperto essenzialmente da due tendenze: una che si avvale della fotografia, trascorrendo dalla pittura propriamente iperrealista a quella in cui l’utilizzo dell’obiettivo poggia su ragioni di mera comodità; l’altra, ispirata al surrealismo storico, si concentra sul mondo onirico. Mentre il linguaggio cubista, per esempio, metabolizzato per vie più concettuali che formali, non risulta tuttora utilizzato dai pittori per l’analisi spazio-temporale del reale, la pittura di matrice surreale ha continuato a raccogliere proseliti ai più svariati livelli qualitativi. Questo forse perché la pittura di un Magritte, un Delvaux o un Dalì, pur essendo stata rivoluzionaria nel contenuto si sviluppa in una trama pittorica leggibile, rassicurante per chi oggi aspiri a quell’ipotetico e mai raggiunto definitivo ritorno alla figurazione invocato da troppi anni. Molti pittori contemporanei si sono quindi collegati al linguaggio surreale, come a quello medesimamente attraente della metafisica di De Chirico e Savinio, come un modo per restare nella tradizione pittorica liberandosi nel contempo da lacci troppo vincolanti con la realtà da rappresentare.
Ciro Palumbo agisce nel solco di questa traduzione del linguaggio surreale, onirico e freudiano, realizzando una pittura, della quale non facciamo fatica a rintracciare i riferimenti storici, che s’impernia su un numero limitato di soggetti posti costantemente in dialogo fra loro attraverso variazioni di accostamento, distribuzione, grandezza, forma e colore. Fra questi soggetti ricorrono con frequenza: le stanze senza soffitto, i giocattoli, l’isola di bökliniana memoria, le statue classiche, il mare, la sottesa mediterraneità immersa in un costante e cromaticamente acceso tramonto.
Gli oggetti della messa in scena, improbabili, certo, ma dipinti come credibili, divengono allusione a qualcosa che sta oltre la loro semplice presenza fisica e razionale utilizzo. Di essi l’oggettiva funzionalità, già messa in crisi dalla forma incompleta o abnorme – cosa ce ne faremmo di una stanza senza soffitto o di enormi giocattoli? –, è ulteriormente compromessa dalla reciproca collocazione – una barca sospesa nell’aria – che ne porta in evidenza un contenuto altro, non fisico ma trascendente. Ne risulta una pittura fiabesca, tesa al raggiungimento di un significato ulteriore, a un grado di esistenza spostato altrove, atemporale, astorico e indefinibile: in una dimensione metafisica appunto. In questo modo la pittura di Palumbo costruisce un sostrato immaginifico e trae dalla pittura metafisica il complessivo senso del mistero e del sogno.
Queste opere, con criterio geometrico e salda struttura spaziale, suggeriscono una rappresentazione teatrale e visionaria anche quando non raffigurano direttamente un sipario o una tenda scostata a mostrare un paesaggio. Proprio l’ammiccante orchestrazione, l’assemblaggio di elementi contraddittori e incongrui, tipicamente surreale, ci invita a percepire il dipinto come una personale e intima visione quale potremmo averla assistendo a un nostro sogno. I viaggi chimerici di Palumbo sono favole classicistiche create su misura, sogni liberamente costruiti sulle simbologie oniriche e sulle teorie freudiane dei moti dell’inconscio. Gli interni prospettici, l’ambientazione naturale, le sculture e i frammenti archeologici vogliono fare leva su una memoria antica, su ricorrenti esperienze inconsce, rielaborate in modo da suscitare sensazioni e sentimenti non direttamente e logicamente collegati ai singoli elementi del dipinto ma immersi in un sistema di libera interpretazione della tela, in una trama di riferimenti altamente suggestiva.
Fra questi suggerimenti quello al viaggio è sicuramente uno dei più ricorrenti nel percorso di Palumbo, per il quale il mare ne è indispensabile metafora. Prendere la via del mare o tornare dai marosi è il viaggio per eccellenza: infernale o paradisiaco, vero o presunto, reale o immaginario, breve o infinito, mortale o vitale. La direzione stessa è costantemente messa in dubbio, ossia non sappiamo se essi siano viaggi di andata o di ritorno. Spesso i suoi giocattoli eletti ad autentici protagonisti in luogo dei personaggi umani intraprendono una strada che li porta all’interno del dipinto verso un punto focale rappresentato alternativamente dall’isola, dal tempio o dal teatro, e ne escono trasformati, rigenerati e pronti per una nuova meta. Queste costruzioni, infatti, il tempio in particolare, sono scatole magiche che vogliono figurare il sapere, la memoria e la speranza. Il viaggio quale condizione indispensabile dell’esistere è rappresentato attraverso il fluttuare di onde che lambiscono spiagge o che sciabordano su palchetti di stanze che si affacciano inverosimilmente sul mare. Le linee di fuga dei dipinti conducono quindi a ipotetici luoghi di approdo, delle Itaca o Citera alle quali giungere ma dalle quali ripartire. Queste isole spesso ridotte a scogli ad anfiteatro, rocce sulle quali mettono radici affusolati cipressi, si rifanno alla celebre “Isola dei morti” dipinta da Arnold Böcklin, modello del quale perdono la grave e onirica meditazione sulla morte che aveva affascinato Freud traducendosi viceversa, con il gusto della citazione, in un atollo di vita, di mutazione, di memoria, di riposo addirittura, sul quale si incagliano sfere e parallelepipedi colorati. La letteratura e l’arte è densa di riferimenti a isole reali o immaginarie; da quella che non c’è di Peter Pan, fantasiosa e infantile, alla mitica Atlantide affondata in un oceano che forse coincide con il nostro subconscio. In Palumbo tuttavia l’isola rappresenta la muta custode della memoria di un mitico passato, ricetto di un’immagine mai estinta di classicità che si manifesta esplicitamene nei ricorrenti riferimenti alla Grecia, a Roma e a Canova. Fra i contemporanei Igor Mitoraj è uno dei maestri d’elezione di Palumbo il quale cita lo scultore polacco nelle ciclopiche figure di pietra che campeggiano su alcune tele; figure bendate o strette da lacci che paiono animarsi, prendendo colorito e inoltrandosi in una terra di mezzo, ibrida fra la fissità della roccia e l’animazione dell’essere vivente.
Gli stessi giocattoli e le navi dipinte con gusto grafico nell’impaginato e con colori saturi, formano delle nature morte metaforicamente e letteralmente sospese in un mondo fiabesco non lontano dal realismo magico e da molta pittura figurativa contemporanea russa. La diffusa sensazione ai limiti dell’allarmante è suscitata in particolare dai giocattoli i quali, nel momento in cui perdono la loro dimensione ridotta – adatta a facilitare la manipolazione, il controllo mentale e lo sviluppo dell’esperienza infantile –, cedono la dimensione ludica lasciando il posto a un’impressione inquietante che supera la soglia di attenzione, come fossimo prossimi a un pericolo. Sfere e scatole da circo, colorate con strisce e stelle, escono dal nostro controllo divenendo indipendenti e funambolici personaggi di un mondo altrimenti disabitato. Ma ancora una volta Ciro Palumbo si attiene a un universo nell’insieme pacifico, a tratti ironico, dove anche questa sensazione di allarme viene contenuta in situazioni trasognate grazie alla costante presenza di caldi cieli serali, stellati o dominati da grandi lune.
La recente produzione pittorica di Palumbo si estende al di là della ricerca fin qui descritta attraverso un tema comparso progressivamente a partire dal 2004: le sospensioni. In sintonia con la mostra permanete di Palazzo Oddo, intitolata “Magiche trasparenze” e dedicata ai reperti archeologici portati alla luce nella zona di Albenga, Palumbo intitola a sua volta “Magiche sospensioni” la propria mostra. Isole, navi, statue, case e giocattoli, danzano sospesi nell’aria in una dolce levitazione, come bloccati nell’istante prossimo a un accadimento. Sensazione di enigma e di mistero aumentata dall’aspetto delle statue sempre in bilico fra il mondo dei vivi e quello dell’eterna fissità. La pittura di Ciro Palumbo insiste quindi su un percorso che in questi anni ha prodotto tanta pittura figurativa partendo, nel suo caso specifico, da alcuni maestri storici per poi deragliare progressivamente in percorsi alternativi che si sono avvalsi anche del materismo – sulla falsariga informale – del collage, dell’inserzione di parole scritte e di mirati riferimenti alla fotografia e al cinema.

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MAGICHE SOSPENSIONI



"Magiche sospensioni"
Mostra Personale
presso
Palazzo Oddo

Via Roma - Albenga
19 dicembre - 10 gennaio 2010

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"Il viaggiatore bambino indaco"

cm 100x120

2008
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"L'opera del gioco perduto"
cm 80x90

2008
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"Il grande volo"
cm 50x60

2008
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"La musa dei pensieri"
cm 60x60

2009
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"La fuga dei sogni"
cm 50x60

2009
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"E così perse il viaggio"
cm 50x60

2008
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"Desiderio di altrove"
cm 40x50

2008
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"Teatro volante"
cm 40x40

2008
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"Giù dalla rupe"
cm 30x30

2009
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"Il tempio del gioco"
cm 80x80

2009
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"Al centro, la magia"
cm 80x80

2009
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"Partenze"
cm 80x80

2009
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"Un Angelo ci porterà"
cm 80x80

2009
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"Le porte del sogno"
cm 60x70

2009
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"Sospesi nella tempesta"
cm 50x50

2009
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"Partenze"
cm 50x70

2009
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"Prigioniero del tuo specchio"
cm 60x60

2009
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Magiche sospensioni”

Mostra di pittura

Esposizione dell’artista Ciro Palumbo

Dal 19 dicembre al 15 gennaio

Palazzo Oddo (terzo piano), Via Roma, Albenga

Catalogo in sede


Sabato 19 dicembre, alle ore 18, presso le sale del terzo piano di Palazzo Oddo, avrà inizio lo sviluppo del progetto del gruppo artistico torinese “Bottega Indaco”, che proporrà al pubblico tre mostre personali (Ciro Palumbo, Akira Zakamoto, Claudia Giraudo e Giulio Cardona) articolate durante il corso dell'anno e concluse simbolicamente da una collettiva che mostri un paesaggio multiforme e caleidoscopico legato al tema del vetro e della trasparenza.

L’esposizione, realizzata in collaborazione con il Comune di Albenga e la Palazzo Oddo srl, vedrà primo protagonista il pittore torinese Ciro Palumbo, con una serie di opere ricche di suggestioni metafisiche. ‘Magiche sospensioni’ inaugura un interessante percorso sperimentale volto a valorizzare l’interazione tra le arti dialogando con gli spazi espositivi disponibili e relazionandosi con il pubblico attraverso forme diverse di espressione.

Tra le opere esposte, tutte inedite e create appositamente per questa esposizione, una grande tela di cui sarà protagonista il Piatto Blu, il grande piatto in vetro blu cobalto, principale protagonista dell’esposizione permanente “Magiche Trasparenze".


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Raggiungere il "Meta"
di Adriano Olivieri (testo pre

Nella vasta e variegata moltitudine di pittura figurativa, prodotta da un po’ di anni a questa parte, pare che un ruolo di primissimo

piano, oltre certe sperimentazioni sulla materia – memori ancora dell’informale –, sia stato ricoperto essenzialmente da due

tendenze: una che si avvale della fotografia, trascorrendo dalla pittura propriamente iperrealista a quella in cui l’utilizzo

dell’obiettivo poggia su ragioni di mera comodità; l’altra, ispirata al surrealismo storico, si concentra sul mondo onirico. Mentre

il linguaggio cubista, per esempio, metabolizzato per vie più concettuali che formali, non risulta tuttora utilizzato dai pittori

per l’analisi spazio-temporale del reale, la pittura di matrice surreale ha continuato a raccogliere proseliti ai più svariati livelli

qualitativi. Questo forse perché la pittura di un Magritte, un Delvaux o un Dalì, pur essendo stata rivoluzionaria nel contenuto si

sviluppa in una trama pittorica leggibile, rassicurante per chi oggi aspiri a quell’ipotetico e mai raggiunto definitivo ritorno alla

figurazione invocato da troppi anni. Molti pittori contemporanei si sono quindi collegati al linguaggio surreale, come a quello

medesimamente attraente della metafisica di De Chirico e Savinio, come un modo per restare nella tradizione pittorica liberandosi

nel contempo da lacci troppo vincolanti con la realtà da rappresentare.

Ciro Palumbo agisce nel solco di questa traduzione del linguaggio surreale, onirico e freudiano, realizzando una pittura, della

quale non facciamo fatica a rintracciare i riferimenti storici, che s’impernia su un numero limitato di soggetti posti costantemente

in dialogo fra loro attraverso variazioni di accostamento, distribuzione, grandezza, forma e colore. Fra questi soggetti ricorrono con

frequenza: le stanze senza soffitto, i giocattoli, l’isola di bökliniana memoria, le statue classiche, il mare, la sottesa mediterraneità

immersa in un costante e cromaticamente acceso tramonto.

Gli oggetti della messa in scena, improbabili, certo, ma dipinti come credibili, divengono allusione a qualcosa che sta oltre la loro

semplice presenza fisica e razionale utilizzo. Di essi l’oggettiva funzionalità, già messa in crisi dalla forma incompleta o abnorme

cosa ce ne faremmo di una stanza senza soffitto o di enormi giocattoli? –, è ulteriormente compromessa dalla reciproca

collocazione – una barca sospesa nell’aria – che ne porta in evidenza un contenuto altro, non fisico ma trascendente. Ne risulta

una pittura fiabesca, tesa al raggiungimento di un significato ulteriore, a un grado di esistenza spostato altrove, atemporale,

astorico e indefinibile: in una dimensione metafisica appunto. In questo modo la pittura di Palumbo costruisce un sostrato

immaginifico e trae dalla pittura metafisica il complessivo senso del mistero e del sogno.

Queste opere, con criterio geometrico e salda struttura spaziale, suggeriscono una rappresentazione teatrale e visionaria

anche quando non raffigurano direttamente un sipario o una tenda scostata a mostrare un paesaggio. Proprio l’ammiccante

orchestrazione, l’assemblaggio di elementi contraddittori e incongrui, tipicamente surreale, ci invita a percepire il dipinto come

una personale e intima visione quale potremmo averla assistendo a un nostro sogno. I viaggi chimerici di Palumbo sono favole

classicistiche create su misura, sogni liberamente costruiti sulle simbologie oniriche e sulle teorie freudiane dei moti dell’inconscio.

Gli interni prospettici, l’ambientazione naturale, le sculture e i frammenti archeologici vogliono fare leva su una memoria antica,

su ricorrenti esperienze inconsce, rielaborate in modo da suscitare sensazioni e sentimenti non direttamente e logicamente

collegati ai singoli elementi del dipinto ma immersi in un sistema di libera interpretazione della tela, in una trama di riferimenti

altamente suggestiva.

Fra questi suggerimenti quello al viaggio è sicuramente uno dei più ricorrenti nel percorso di Palumbo, per il quale il mare ne è

indispensabile metafora. Prendere la via del mare o tornare dai marosi è il viaggio per eccellenza: infernale o paradisiaco, vero o

presunto, reale o immaginario, breve o infinito, mortale o vitale. La direzione stessa è costantemente messa in dubbio, ossia non

sappiamo se essi siano viaggi di andata o di ritorno. Spesso i suoi giocattoli eletti ad autentici protagonisti in luogo dei personaggi

umani intraprendono una strada che li porta all’interno del dipinto verso un punto focale rappresentato alternativamente

dall’isola, dal tempio o dal teatro, e ne escono trasformati, rigenerati e pronti per una nuova meta. Queste costruzioni, infatti, il

tempio in particolare, sono scatole magiche che vogliono figurare il sapere, la memoria e la speranza. Il viaggio quale condizione

indispensabile dell’esistere è rappresentato attraverso il fluttuare di onde che lambiscono spiagge o che sciabordano su palchetti

di stanze che si affacciano inverosimilmente sul mare. Le linee di fuga dei dipinti conducono quindi a ipotetici luoghi di approdo,

delle Itaca o Citera alle quali giungere ma dalle quali ripartire. Queste isole spesso ridotte a scogli ad anfiteatro, rocce sulle quali

mettono radici affusolati cipressi, si rifanno alla celebre “Isola dei morti” dipinta da Arnold Böcklin, modello del quale perdono

la grave e onirica meditazione sulla morte che aveva affascinato Freud traducendosi viceversa, con il gusto della citazione, in un

atollo di vita, di mutazione, di memoria, di riposo addirittura, sul quale si incagliano sfere e parallelepipedi colorati. La letteratura

e l’arte è densa di riferimenti a isole reali o immaginarie; da quella che non c’è di Peter Pan, fantasiosa e infantile, alla mitica

Atlantide affondata in un oceano che forse coincide con il nostro subconscio. In Palumbo tuttavia l’isola rappresenta la muta

custode della memoria di un mitico passato, ricetto di un’immagine mai estinta di classicità che si manifesta esplicitamene nei

ricorrenti riferimenti alla Grecia, a Roma e a Canova. Fra i contemporanei Igor Mitoraj è uno dei maestri d’elezione di Palumbo il

quale cita lo scultore polacco nelle ciclopiche figure di pietra che campeggiano su alcune tele; figure bendate o strette da lacci che

paiono animarsi, prendendo colorito e inoltrandosi in una terra di mezzo, ibrida fra la fissità della roccia e l’animazione dell’essere

vivente.

Gli stessi giocattoli e le navi dipinte con gusto grafico nell’impaginato e con colori saturi, formano delle nature morte

metaforicamente e letteralmente sospese in un mondo fiabesco non lontano dal realismo magico e da molta pittura figurativa

contemporanea russa. La diffusa sensazione ai limiti dell’allarmante è suscitata in particolare dai giocattoli i quali, nel momento

in cui perdono la loro dimensione ridotta – adatta a facilitare la manipolazione, il controllo mentale e lo sviluppo dell’esperienza

infantile –, cedono la dimensione ludica lasciando il posto a un’impressione inquietante che supera la soglia di attenzione,

come fossimo prossimi a un pericolo. Sfere e scatole da circo, colorate con strisce e stelle, escono dal nostro controllo divenendo

indipendenti e funambolici personaggi di un mondo altrimenti disabitato. Ma ancora una volta Ciro Palumbo si attiene a un

universo nell’insieme pacifico, a tratti ironico, dove anche questa sensazione di allarme viene contenuta in situazioni trasognate

grazie alla costante presenza di caldi cieli serali, stellati o dominati da grandi lune.

La recente produzione pittorica di Palumbo si estende al di là della ricerca fin qui descritta attraverso un tema comparso

progressivamente a partire dal 2004: le sospensioni. In sintonia con la mostra permanete di Palazzo Oddo, intitolata “Magiche

trasparenze” e dedicata ai reperti archeologici portati alla luce nella zona di Albenga, Palumbo intitola a sua volta “Magiche

sospensioni” la propria mostra. Isole, navi, statue, case e giocattoli, danzano sospesi nell’aria in una dolce levitazione, come

bloccati nell’istante prossimo a un accadimento. Sensazione di enigma e di mistero aumentata dall’aspetto delle statue sempre

in bilico fra il mondo dei vivi e quello dell’eterna fissità. La pittura di Ciro Palumbo insiste quindi su un percorso che in questi anni

ha prodotto tanta pittura figurativa partendo, nel suo caso specifico, da alcuni maestri storici per poi deragliare progressivamente

in percorsi alternativi che si sono avvalsi anche del materismo – sulla falsariga informale – del collage, dell’inserzione di parole

scritte e di mirati riferimenti alla fotografia e al cinema.



Di Adriano Olivieri (testo presente nel catalogo della mostra)



Caravelle per nuovi viaggi metafisici



"Caravelle per nuovi viaggi metafisici"
olio su carta
cm 50x70
2009


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Nell'isola chi c'è?



"Nell'isola chi c'è?"
olio su carta
cm 50x70
2009


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Paesaggio surreale



"Paesaggio surreale"
olio su carta
cm 50x70
2009


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Sospesi nel viaggio



"Sospesi nel viaggio"
olio su carta
cm 50x70
2009


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Partenze



"Partenze"

olio su carta
cm 50x70
2009


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Isole



"Isole"
olio su carta
cm 50x70
2009


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Isola



"Isola"
olio su carta
cm 50x70
2009


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Isola nel cielo



"Isola nel cielo"
olio su carta
cm 50x70
2009


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Sogni della notte



"Sogni della notte"
olio su carta
cm 50x70
2009


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Per un viaggio



"Per un viaggio"
olio su carta
cm 50x70
2009


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Il tempio della follia



"Il tempio della follia"
olio su carta
cm 50x70
2009


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La magia nell'isola



"La magia nell'isola"

olio su carta
cm 50x70
2009


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Il percorso delle stelle



"Il percorso delle stelle"
olio su carta
cm 50x70
2009


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In volo



"In volo"
olio su carta
cm 50x70
2009


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Viaggio



"Viaggio"
olio su carta
cm 50x70
2009


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Cavallo rosso



"Cavallo rosso"
olio su carta
cm 50x70
2009


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Si va in scena!



"Si va in scena!"
olio su carta
cm 50x70
2009


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Si va in scena!



"Si va in scena!"
olio su carta
cm 50x70
2009


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Sospensioni



"Sospensioni"
olio su carta
cm 50x70
2009


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Nel vento



"Nel vento"
olio su carta
cm 30x45
2009


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Lucia Covella

Passione
di Lucia Covella


Si dice che la vita non è quella che sogniamo, ma quella che ci capita giorno dopo giorno!
Sembra che frase più vera di questa non sia mai stata detta, ed è ancora più vera guardando i dipinti di Ciro Palumbo.
Infatti l'artista ha colto in pieno il senso di questa frase: egli dipinge fantasie e sogni, giochi e perdizioni, fiabe e racconti di ogni tipo, un sogno che non finisce mai immerso in un turbinio di oggetti, figure e paesaggi immaginari, una realtà sognata, fantasticata… non quello che ci capita giorno dopo giorno, ma appunto quello che sogniamo.
Palumbo, come un grande scrittore, racconta l'essere e il non essere, tanto noto e sfruttato, in pochi particolari, in piccoli gesti: quando la realtà opprime si cerca nel sogno un motivo per darsi forza.
Racconta l'assoluto in una prospettiva di un cielo nuvoloso che si schiarisce all'orizzonte e va fino in fondo al cuore, ad emozionare.
Ci si perde su una barca senza timoniere, trasportati chissà dove, come quando innamorati di un'idea, ci si lascia trasportare senza regole dalla passione.
E' la passione infatti a far muovere il mondo da sempre, e a dare la spinta giusta per amare la vita.
Perché la vita non è vita se non è sorretta dalla passione!
Eppure nei dipinti di Palumbo c'è un cielo da temporale, un vento che piega gli alberi, una tempesta da togliere il fiato.... ma la barca va, fin su un'isola sperduta chissà, per poi ripartire di nuovo,
La passione pure! Nonostante delusioni, momenti bui, difficoltà insormontabili, dolori incolmabili.
In fondo, appena visibile un orizzonte terso, limpido... in fondo si può arrivare e questo sogno può realizzarsi dove, superate le angosce e le paure, tutto si schiarisce, e allora si ricomincia di nuovo, un'altra tela, un altro sogno, un 'altra passione... la vita, perché a volte l'immaginazione aiuta molto più della conoscenza.
Ciro Palumbo, dunque, dipinge la vita unica e irripetibile, quella dell'anima, quella intima, quella del cuore, quella della passione, motore della vita di ogni giorno.
Vita che sfugge dalle mani per finire attraverso i pennelli e i colori, sulle tele dell'artista in forma diversa, onirica, fantasiosa, ironica, divertente.
Sogno e realtà, gioco e verità, non si sa mai quale è il limite che li separa, e quale nella vita ha più valore, quale nel mondo di ognuno di noi riesce a fare più presa.
Sicuramente nei vari mondi di Palumbo il gioco e la fantasia sono determinanti, e parlo di mondi perché ne dipinge tanti e in tanti modi dove ognuno di noi può ritrovarsi, immergersi, sognare, e farsi trasportare dalla passione e dall'amore per la vita.

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Simone Bertolini

Microcosmi dagli orizzonti infiniti
sogno e realtà: due facce della stessa medaglia
di Simone Bertolini


Nel guardare intensamente le opere di Ciro Palumbo bisogna ammettere che si provano intime emozioni, diverse, contrastanti, che indagano superficialmente i nostri pensieri per penetrare sempre più a fondo nella nostra essenza e che ci lasciano dentro qualcosa di nuovo ogni qual volta ci facciamo trasportare in questa commistione di sogno e di realtà.
Ma dove finisce il sogno? Dove inizia la realtà?
Queste sono alcune domande che mi sono posto nell’osservazione attenta dell’opera di Palumbo e sebbene credo che forse una risposta oggettiva in assoluto non ci sia, ho cercato di farmi suggerire dai dipinti del maestro la sua risposta, la sua interpretazione della questione.
Il confine non esiste, sogno e realtà sono due facce della stessa medaglia: la vita!
Nei suoi dipinti, Palumbo mischia con sapienti giustapposizioni elementi reali quali alberi, torri, vascelli, statue classiche, sfere e palline, ma li colloca in luoghi che, sebbene siano contraddistinti dal mare e da cieli densi di nuvole o stelle, sono in realtà non-luoghi surreali per le atmosfere che emanano.
L’atmosfera che si respira nelle opere di Palumbo è la chiave per capirle.
Attraverso colori vivaci, che toccano la nostra sensibilità per il modo in cui sono accostati e per la loro varietà, grazie ad una luce calda e vibrante e a trapassi chiaroscurali delicati, Palumbo riesce a creare luoghi onirici che ben accolgono le creazioni mentali metafisiche più disparate.
Essi rimandano direttamente ad un’idea di come, secondo lui, dovrebbe essere il luogo nel quale nascono le creazioni del nostro subconscio, che partono da elementi reali, ma seguono regole dettate dal caos.
Ma, a differenza degli oggetti, questi luoghi delineati dal pittore non sono dominati dalla casualità, anzi ci trasmettono un senso di pace quasi divina, che arriva dritto alla nostra anima e ci consente di codificare le immagini e i concetti che vuole esprimere l’artista come il tema del viaggio, del mistero, del gioco, celati dietro gli oggetti-simbolo che popolano le rappresentazioni e dietro le loro combinazioni.
Emblematici gli alberi collocati su porzioni di terra fluttuanti, non ancorati al terreno, proprio perché i luoghi di Palumbo non danno solido appoggio alle cose, ma creano atmosfere governate da un caos calmo in continuo divenire, basato su una surreale armonia delle parti, cangiante e allo stesso tempo eternamente perfetta
Atmosfere capaci di accogliere i pensieri più reconditi dell’animo dell’artista ma che si offrono come tela bianca agli spettatori che vogliono giocare ad indagarsi.
A volte include anche testi e frammenti di testi, perché anche la parola come gli oggetti presenti veicola immagini e quindi concetti.
Microcosmi dagli orizzonti infiniti, dominati da un ordine che la sapiente mano del maestro impartisce alle cose in apparente caos.
Microcosmi dagli orizzonti infiniti… metafore della vita: apparente caos ordinato.

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Francesca Bogliolo

Le mille e una notte di Palumbo.
Di Francesca Bogliolo


“ Chiaro che può essere soltanto un sogno, nella vita reale non s’è mai visto un viaggio così.”

da: J. Saramago, ‘Il racconto dell’isola sconosciuta’


Il sogno a cui fa riferimento Ciro Palumbo ha origine nelle notti dei tempi, nelle mille ed una notte in cui Sherazade, con la magia dei suoi racconti, ottiene salva la vita affabulando con la prospettiva di un’esistenza immaginaria il suo sposo, il re Sahrigar, che la vuole morta.
Sherazade prende il tiranno per mano e lo conduce in un mondo di pura invenzione, fatto di fantasie e seduzioni, timori ed incantesimi, intrighi ed atti eroici, offrendogli in dono una sorte alternativa partorita dall’immaginazione, un destino fantastico in grado di sedurre il sovrano feroce e di cambiarne la natura penetrandone la profondità dell’anima.
Allo stesso modo, Palumbo conduce per mano lo spettatore in un mondo coerente con la tradizione metafisica di cui si nutre, popolato di oggetti simbolici, spazi desertici, scenografie enigmatiche, suggestioni che comunicano un senso di inquietudine. Pure, non è l’evidenza iconografica a comunicare ad occhi desiderosi di significato, bensì l’atmosfera percepita da chi osserva, che è insieme tensione ed attesa. Non si tratta di una sosta statica, immobile in un tempo sospeso: per Ciro Palumbo l’attesa è ricerca, e ricerca è un viaggio per cui
si parte sapendo che la meta altro non è se non il viaggio stesso.

“Voi che ne pensate, Che bisogna allontanarsi dall’isola per vedere l’isola, e che non ci vediamo se non ci allontaniamo
da noi.”
da: J. Saramago, ‘Il racconto dell’isola sconosciuta"


Palumbo compie il viaggio, che è un salto verso l’inconscio, tramite la pittura, che traghetta pittore e spettatore in una surreale atmosfera onirica popolata di oggetti reali, in una dimensione interiore inconscia eppure conosciuta, come quella del sogno.
La pittura è un vascello, che conduce ad un’isola sconosciuta che in realtà si trova dentro noi stessi. Noi, essendo, ci conosciamo, eppure sentiamo la necessità di partire, insieme a Palumbo, alla ricerca di noi stessi.
L’inconscio del pittore è la realtà avvolta dal velo del mistero: la luna, il cavallo, il deserto sono icone riconoscibili, ma la loro associazione ed il loro inserimento in un paesaggio transitorio fatto di quinte aperte, strutture in volo ed elementi che conducono in viaggio, suggeriscono nuove suggestioni derivanti da un poliedrico mondo fantastico, che ha suoi protagonisti e sue storie da raccontare, ma un’unica anima, che è necessità artistica.
Per Palumbo partire diviene allora, come il narrare per Sherazade, una questione di vita o di morte, un’esigenza di espressione che è salvezza, un’illusione magica e giocosa destinata a fronteggiare la barbarie quotidiana dell’esistenza, una visione che si può avere semplicemente chiudendo gli occhi e continuando a viaggiare in sogno verso noi stessi.
In questa narrazione visiva, il colore e le linee possono stupire come le parole di una fiaba contemporanea, possono permettersi di deridere la realtà con fantasia e di evocare un mondo in cui gli archetipi cambiano significato, in cui persino il cavallo di Troia, da portatore di sventure diventa portatore di gioia come i cannoni di bronzo di un racconto di Rodari.

“Lo Stragenerale Bombone Sparone Pestafracassone ordinò: - Fuoco! Un artigliere premette un pulsante.E d’improvviso, da un capo all’altro del fronte, si udì un gigantesco scampanio: Din! Don! Dan! Noi ci levammo l’ovatta dalle orecchie per sentir meglio.- Din! Don! Dan! – tuonava il cannonissimo. E centomila echi ripetevano per monti e per valli: - Din! Don! Dan! - Fuoco! – gridò lo Stragenerale per la seconda volta: Fuoco, perbacco! (..)Poi ci fu un momento di silenzio. Ed ecco che dall’altra parte del fronte, come per un segnale,
rispose un allegro, assordante: - Din! Don! Dan! Perchè dovete sapere che anche il comandante dei nemici, il Mortesciallo Von Bombonen Sparonen Pestafrakasson, aveva avuto l’idea di fabbricare un cannonissimo con le campane del suo paese. - Din! Dan! – tuonava adesso il nostro cannone.- Don ! – rispondeva quello dei nemici. E i soldati dei due eserciti balzavano dalle trincee, si correvano incontro, ballavano e gridavano: - Le campane, le campane! festa! scoppiata la pace!” Sembra di assistere al tentativo, da parte dell’artista di trovare una risposta al quesito proposto in prosa da Michael Ende, secondo cui “soltanto chi lascia il labirinto può essere felice ma soltanto chi è felice può uscirne”.


La ricerca, compiuta tramite il viaggio interiore, che permette di oltrepassare con mezzi tangibili il confine del reale, da’origine ad una poetica coerente portata avanti con volontà espressiva, al centro della quale si situa, come un’apparizione simbolica su di una tela, la grande sfera immaginaria della magia.

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Il cavallo della gioia



"Il cavallo della gioia"
olio su tela
cm 50x60
2009


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Natura morta



"Natura morta"
olio su tela
cm 30x35
2009


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L'isola della magia



"L'isola della magia"
olio su tela
cm 40x45
2009


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