"Magiche sospensioni"
Mostra Personale
presso
Palazzo Oddo
Via Roma - Albenga
19 dicembre - 10 gennaio 2010
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"Il viaggiatore bambino indaco"
cm 100x120
2008
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"L'opera del gioco perduto"
cm 80x90
2008
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"Il grande volo"
cm 50x60
2008
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"La musa dei pensieri"
cm 60x60
2009
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"La fuga dei sogni"
cm 50x60
2009
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"E così perse il viaggio"
cm 50x60
2008
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"Desiderio di altrove"
cm 40x50
2008
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"Teatro volante"
cm 40x40
2008
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"Giù dalla rupe"
cm 30x30
2009
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"Il tempio del gioco"
cm 80x80
2009
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"Al centro, la magia"
cm 80x80
2009
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"Partenze"
cm 80x80
2009
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"Un Angelo ci porterà"
cm 80x80
2009
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"Le porte del sogno"
cm 60x70
2009
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"Sospesi nella tempesta"
cm 50x50
2009
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"Partenze"
cm 50x70
2009
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"Prigioniero del tuo specchio"
cm 60x60
2009
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“Magiche sospensioni”
Mostra di pittura
Esposizione dell’artista Ciro Palumbo
Dal 19 dicembre al 15 gennaio
Palazzo Oddo (terzo piano), Via Roma, Albenga
Catalogo in sede
Sabato 19 dicembre, alle ore 18, presso le sale del terzo piano di Palazzo Oddo, avrà inizio lo sviluppo del progetto del gruppo artistico torinese “Bottega Indaco”, che proporrà al pubblico tre mostre personali (Ciro Palumbo, Akira Zakamoto, Claudia Giraudo e Giulio Cardona) articolate durante il corso dell'anno e concluse simbolicamente da una collettiva che mostri un paesaggio multiforme e caleidoscopico legato al tema del vetro e della trasparenza.
L’esposizione, realizzata in collaborazione con il Comune di Albenga e la Palazzo Oddo srl, vedrà primo protagonista il pittore torinese Ciro Palumbo, con una serie di opere ricche di suggestioni metafisiche. ‘Magiche sospensioni’ inaugura un interessante percorso sperimentale volto a valorizzare l’interazione tra le arti dialogando con gli spazi espositivi disponibili e relazionandosi con il pubblico attraverso forme diverse di espressione.
Tra le opere esposte, tutte inedite e create appositamente per questa esposizione, una grande tela di cui sarà protagonista il Piatto Blu, il grande piatto in vetro blu cobalto, principale protagonista dell’esposizione permanente “Magiche Trasparenze".
di Adriano Olivieri (testo pre
Nella vasta e variegata moltitudine di pittura figurativa, prodotta da un po’ di anni a questa parte, pare che un ruolo di primissimo
piano, oltre certe sperimentazioni sulla materia – memori ancora dell’informale –, sia stato ricoperto essenzialmente da due
tendenze: una che si avvale della fotografia, trascorrendo dalla pittura propriamente iperrealista a quella in cui l’utilizzo
dell’obiettivo poggia su ragioni di mera comodità; l’altra, ispirata al surrealismo storico, si concentra sul mondo onirico. Mentre
il linguaggio cubista, per esempio, metabolizzato per vie più concettuali che formali, non risulta tuttora utilizzato dai pittori
per l’analisi spazio-temporale del reale, la pittura di matrice surreale ha continuato a raccogliere proseliti ai più svariati livelli
qualitativi. Questo forse perché la pittura di un Magritte, un Delvaux o un Dalì, pur essendo stata rivoluzionaria nel contenuto si
sviluppa in una trama pittorica leggibile, rassicurante per chi oggi aspiri a quell’ipotetico e mai raggiunto definitivo ritorno alla
figurazione invocato da troppi anni. Molti pittori contemporanei si sono quindi collegati al linguaggio surreale, come a quello
medesimamente attraente della metafisica di De Chirico e Savinio, come un modo per restare nella tradizione pittorica liberandosi
nel contempo da lacci troppo vincolanti con la realtà da rappresentare.
Ciro Palumbo agisce nel solco di questa traduzione del linguaggio surreale, onirico e freudiano, realizzando una pittura, della
quale non facciamo fatica a rintracciare i riferimenti storici, che s’impernia su un numero limitato di soggetti posti costantemente
in dialogo fra loro attraverso variazioni di accostamento, distribuzione, grandezza, forma e colore. Fra questi soggetti ricorrono con
frequenza: le stanze senza soffitto, i giocattoli, l’isola di bökliniana memoria, le statue classiche, il mare, la sottesa mediterraneità
immersa in un costante e cromaticamente acceso tramonto.
Gli oggetti della messa in scena, improbabili, certo, ma dipinti come credibili, divengono allusione a qualcosa che sta oltre la loro
semplice presenza fisica e razionale utilizzo. Di essi l’oggettiva funzionalità, già messa in crisi dalla forma incompleta o abnorme
– cosa ce ne faremmo di una stanza senza soffitto o di enormi giocattoli? –, è ulteriormente compromessa dalla reciproca
collocazione – una barca sospesa nell’aria – che ne porta in evidenza un contenuto altro, non fisico ma trascendente. Ne risulta
una pittura fiabesca, tesa al raggiungimento di un significato ulteriore, a un grado di esistenza spostato altrove, atemporale,
astorico e indefinibile: in una dimensione metafisica appunto. In questo modo la pittura di Palumbo costruisce un sostrato
immaginifico e trae dalla pittura metafisica il complessivo senso del mistero e del sogno.
Queste opere, con criterio geometrico e salda struttura spaziale, suggeriscono una rappresentazione teatrale e visionaria
anche quando non raffigurano direttamente un sipario o una tenda scostata a mostrare un paesaggio. Proprio l’ammiccante
orchestrazione, l’assemblaggio di elementi contraddittori e incongrui, tipicamente surreale, ci invita a percepire il dipinto come
una personale e intima visione quale potremmo averla assistendo a un nostro sogno. I viaggi chimerici di Palumbo sono favole
classicistiche create su misura, sogni liberamente costruiti sulle simbologie oniriche e sulle teorie freudiane dei moti dell’inconscio.
Gli interni prospettici, l’ambientazione naturale, le sculture e i frammenti archeologici vogliono fare leva su una memoria antica,
su ricorrenti esperienze inconsce, rielaborate in modo da suscitare sensazioni e sentimenti non direttamente e logicamente
collegati ai singoli elementi del dipinto ma immersi in un sistema di libera interpretazione della tela, in una trama di riferimenti
altamente suggestiva.
Fra questi suggerimenti quello al viaggio è sicuramente uno dei più ricorrenti nel percorso di Palumbo, per il quale il mare ne è
indispensabile metafora. Prendere la via del mare o tornare dai marosi è il viaggio per eccellenza: infernale o paradisiaco, vero o
presunto, reale o immaginario, breve o infinito, mortale o vitale. La direzione stessa è costantemente messa in dubbio, ossia non
sappiamo se essi siano viaggi di andata o di ritorno. Spesso i suoi giocattoli eletti ad autentici protagonisti in luogo dei personaggi
umani intraprendono una strada che li porta all’interno del dipinto verso un punto focale rappresentato alternativamente
dall’isola, dal tempio o dal teatro, e ne escono trasformati, rigenerati e pronti per una nuova meta. Queste costruzioni, infatti, il
tempio in particolare, sono scatole magiche che vogliono figurare il sapere, la memoria e la speranza. Il viaggio quale condizione
indispensabile dell’esistere è rappresentato attraverso il fluttuare di onde che lambiscono spiagge o che sciabordano su palchetti
di stanze che si affacciano inverosimilmente sul mare. Le linee di fuga dei dipinti conducono quindi a ipotetici luoghi di approdo,
delle Itaca o Citera alle quali giungere ma dalle quali ripartire. Queste isole spesso ridotte a scogli ad anfiteatro, rocce sulle quali
mettono radici affusolati cipressi, si rifanno alla celebre “Isola dei morti” dipinta da Arnold Böcklin, modello del quale perdono
la grave e onirica meditazione sulla morte che aveva affascinato Freud traducendosi viceversa, con il gusto della citazione, in un
atollo di vita, di mutazione, di memoria, di riposo addirittura, sul quale si incagliano sfere e parallelepipedi colorati. La letteratura
e l’arte è densa di riferimenti a isole reali o immaginarie; da quella che non c’è di Peter Pan, fantasiosa e infantile, alla mitica
Atlantide affondata in un oceano che forse coincide con il nostro subconscio. In Palumbo tuttavia l’isola rappresenta la muta
custode della memoria di un mitico passato, ricetto di un’immagine mai estinta di classicità che si manifesta esplicitamene nei
ricorrenti riferimenti alla Grecia, a Roma e a Canova. Fra i contemporanei Igor Mitoraj è uno dei maestri d’elezione di Palumbo il
quale cita lo scultore polacco nelle ciclopiche figure di pietra che campeggiano su alcune tele; figure bendate o strette da lacci che
paiono animarsi, prendendo colorito e inoltrandosi in una terra di mezzo, ibrida fra la fissità della roccia e l’animazione dell’essere
vivente.
Gli stessi giocattoli e le navi dipinte con gusto grafico nell’impaginato e con colori saturi, formano delle nature morte
metaforicamente e letteralmente sospese in un mondo fiabesco non lontano dal realismo magico e da molta pittura figurativa
contemporanea russa. La diffusa sensazione ai limiti dell’allarmante è suscitata in particolare dai giocattoli i quali, nel momento
in cui perdono la loro dimensione ridotta – adatta a facilitare la manipolazione, il controllo mentale e lo sviluppo dell’esperienza
infantile –, cedono la dimensione ludica lasciando il posto a un’impressione inquietante che supera la soglia di attenzione,
come fossimo prossimi a un pericolo. Sfere e scatole da circo, colorate con strisce e stelle, escono dal nostro controllo divenendo
indipendenti e funambolici personaggi di un mondo altrimenti disabitato. Ma ancora una volta Ciro Palumbo si attiene a un
universo nell’insieme pacifico, a tratti ironico, dove anche questa sensazione di allarme viene contenuta in situazioni trasognate
grazie alla costante presenza di caldi cieli serali, stellati o dominati da grandi lune.
La recente produzione pittorica di Palumbo si estende al di là della ricerca fin qui descritta attraverso un tema comparso
progressivamente a partire dal 2004: le sospensioni. In sintonia con la mostra permanete di Palazzo Oddo, intitolata “Magiche
trasparenze” e dedicata ai reperti archeologici portati alla luce nella zona di Albenga, Palumbo intitola a sua volta “Magiche
sospensioni” la propria mostra. Isole, navi, statue, case e giocattoli, danzano sospesi nell’aria in una dolce levitazione, come
bloccati nell’istante prossimo a un accadimento. Sensazione di enigma e di mistero aumentata dall’aspetto delle statue sempre
in bilico fra il mondo dei vivi e quello dell’eterna fissità. La pittura di Ciro Palumbo insiste quindi su un percorso che in questi anni
ha prodotto tanta pittura figurativa partendo, nel suo caso specifico, da alcuni maestri storici per poi deragliare progressivamente
in percorsi alternativi che si sono avvalsi anche del materismo – sulla falsariga informale – del collage, dell’inserzione di parole
scritte e di mirati riferimenti alla fotografia e al cinema.
Di Adriano Olivieri (testo presente nel catalogo della mostra)