"Microcosmi dagli orizzonti infiniti"
Mostra Personale
Via Velia, 36 - Salerno
17 ottobre - 14 novembre 2009
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"Davanti al cielo"
cm 30x35
2009
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"Sogni Paralleli"
cm 80x90
2009
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"Il cavallo dell' illusione"
cm 50x50
2009
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"Sospesi nella tempesta"
cm 50x50
2009
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Passione
di Lucia Covella
Si dice che la vita non è quella che sogniamo, ma quella che ci capita giorno dopo giorno!
Sembra che frase più vera di questa non sia mai stata detta, ed è ancora più vera guardando i dipinti di Ciro Palumbo.
Infatti l'artista ha colto in pieno il senso di questa frase: egli dipinge fantasie e sogni, giochi e perdizioni, fiabe e racconti di ogni tipo, un sogno che non finisce mai immerso in un turbinio di oggetti, figure e paesaggi immaginari, una realtà sognata, fantasticata… non quello che ci capita giorno dopo giorno, ma appunto quello che sogniamo.
Palumbo, come un grande scrittore, racconta l'essere e il non essere, tanto noto e sfruttato, in pochi particolari, in piccoli gesti: quando la realtà opprime si cerca nel sogno un motivo per darsi forza.
Racconta l'assoluto in una prospettiva di un cielo nuvoloso che si schiarisce all'orizzonte e va fino in fondo al cuore, ad emozionare.
Ci si perde su una barca senza timoniere, trasportati chissà dove, come quando innamorati di un'idea, ci si lascia trasportare senza regole dalla passione.
E' la passione infatti a far muovere il mondo da sempre, e a dare la spinta giusta per amare la vita.
Perché la vita non è vita se non è sorretta dalla passione!
Eppure nei dipinti di Palumbo c'è un cielo da temporale, un vento che piega gli alberi, una tempesta da togliere il fiato.... ma la barca va, fin su un'isola sperduta chissà, per poi ripartire di nuovo,
La passione pure! Nonostante delusioni, momenti bui, difficoltà insormontabili, dolori incolmabili.
In fondo, appena visibile un orizzonte terso, limpido... in fondo si può arrivare e questo sogno può realizzarsi dove, superate le angosce e le paure, tutto si schiarisce, e allora si ricomincia di nuovo, un'altra tela, un altro sogno, un 'altra passione... la vita, perché a volte l'immaginazione aiuta molto più della conoscenza.
Ciro Palumbo, dunque, dipinge la vita unica e irripetibile, quella dell'anima, quella intima, quella del cuore, quella della passione, motore della vita di ogni giorno.
Vita che sfugge dalle mani per finire attraverso i pennelli e i colori, sulle tele dell'artista in forma diversa, onirica, fantasiosa, ironica, divertente.
Sogno e realtà, gioco e verità, non si sa mai quale è il limite che li separa, e quale nella vita ha più valore, quale nel mondo di ognuno di noi riesce a fare più presa.
Sicuramente nei vari mondi di Palumbo il gioco e la fantasia sono determinanti, e parlo di mondi perché ne dipinge tanti e in tanti modi dove ognuno di noi può ritrovarsi, immergersi, sognare, e farsi trasportare dalla passione e dall'amore per la vita.
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Microcosmi dagli orizzonti infiniti
sogno e realtà: due facce della stessa medaglia
di Simone Bertolini
Nel guardare intensamente le opere di Ciro Palumbo bisogna ammettere che si provano intime emozioni, diverse, contrastanti, che indagano superficialmente i nostri pensieri per penetrare sempre più a fondo nella nostra essenza e che ci lasciano dentro qualcosa di nuovo ogni qual volta ci facciamo trasportare in questa commistione di sogno e di realtà.
Ma dove finisce il sogno? Dove inizia la realtà?
Queste sono alcune domande che mi sono posto nell’osservazione attenta dell’opera di Palumbo e sebbene credo che forse una risposta oggettiva in assoluto non ci sia, ho cercato di farmi suggerire dai dipinti del maestro la sua risposta, la sua interpretazione della questione.
Il confine non esiste, sogno e realtà sono due facce della stessa medaglia: la vita!
Nei suoi dipinti, Palumbo mischia con sapienti giustapposizioni elementi reali quali alberi, torri, vascelli, statue classiche, sfere e palline, ma li colloca in luoghi che, sebbene siano contraddistinti dal mare e da cieli densi di nuvole o stelle, sono in realtà non-luoghi surreali per le atmosfere che emanano.
L’atmosfera che si respira nelle opere di Palumbo è la chiave per capirle.
Attraverso colori vivaci, che toccano la nostra sensibilità per il modo in cui sono accostati e per la loro varietà, grazie ad una luce calda e vibrante e a trapassi chiaroscurali delicati, Palumbo riesce a creare luoghi onirici che ben accolgono le creazioni mentali metafisiche più disparate.
Essi rimandano direttamente ad un’idea di come, secondo lui, dovrebbe essere il luogo nel quale nascono le creazioni del nostro subconscio, che partono da elementi reali, ma seguono regole dettate dal caos.
Ma, a differenza degli oggetti, questi luoghi delineati dal pittore non sono dominati dalla casualità, anzi ci trasmettono un senso di pace quasi divina, che arriva dritto alla nostra anima e ci consente di codificare le immagini e i concetti che vuole esprimere l’artista come il tema del viaggio, del mistero, del gioco, celati dietro gli oggetti-simbolo che popolano le rappresentazioni e dietro le loro combinazioni.
Emblematici gli alberi collocati su porzioni di terra fluttuanti, non ancorati al terreno, proprio perché i luoghi di Palumbo non danno solido appoggio alle cose, ma creano atmosfere governate da un caos calmo in continuo divenire, basato su una surreale armonia delle parti, cangiante e allo stesso tempo eternamente perfetta
Atmosfere capaci di accogliere i pensieri più reconditi dell’animo dell’artista ma che si offrono come tela bianca agli spettatori che vogliono giocare ad indagarsi.
A volte include anche testi e frammenti di testi, perché anche la parola come gli oggetti presenti veicola immagini e quindi concetti.
Microcosmi dagli orizzonti infiniti, dominati da un ordine che la sapiente mano del maestro impartisce alle cose in apparente caos.
Microcosmi dagli orizzonti infiniti… metafore della vita: apparente caos ordinato.
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Le mille e una notte di Palumbo.
Di Francesca Bogliolo
“ Chiaro che può essere soltanto un sogno, nella vita reale non s’è mai visto un viaggio così.”
da: J. Saramago, ‘Il racconto dell’isola sconosciuta’
Il sogno a cui fa riferimento Ciro Palumbo ha origine nelle notti dei tempi, nelle mille ed una notte in cui Sherazade, con la magia dei suoi racconti, ottiene salva la vita affabulando con la prospettiva di un’esistenza immaginaria il suo sposo, il re Sahrigar, che la vuole morta.
Sherazade prende il tiranno per mano e lo conduce in un mondo di pura invenzione, fatto di fantasie e seduzioni, timori ed incantesimi, intrighi ed atti eroici, offrendogli in dono una sorte alternativa partorita dall’immaginazione, un destino fantastico in grado di sedurre il sovrano feroce e di cambiarne la natura penetrandone la profondità dell’anima.
Allo stesso modo, Palumbo conduce per mano lo spettatore in un mondo coerente con la tradizione metafisica di cui si nutre, popolato di oggetti simbolici, spazi desertici, scenografie enigmatiche, suggestioni che comunicano un senso di inquietudine. Pure, non è l’evidenza iconografica a comunicare ad occhi desiderosi di significato, bensì l’atmosfera percepita da chi osserva, che è insieme tensione ed attesa. Non si tratta di una sosta statica, immobile in un tempo sospeso: per Ciro Palumbo l’attesa è ricerca, e ricerca è un viaggio per cui
si parte sapendo che la meta altro non è se non il viaggio stesso.
“Voi che ne pensate, Che bisogna allontanarsi dall’isola per vedere l’isola, e che non ci vediamo se non ci allontaniamoda noi.”
da: J. Saramago, ‘Il racconto dell’isola sconosciuta"
Palumbo compie il viaggio, che è un salto verso l’inconscio, tramite la pittura, che traghetta pittore e spettatore in una surreale atmosfera onirica popolata di oggetti reali, in una dimensione interiore inconscia eppure conosciuta, come quella del sogno.
La pittura è un vascello, che conduce ad un’isola sconosciuta che in realtà si trova dentro noi stessi. Noi, essendo, ci conosciamo, eppure sentiamo la necessità di partire, insieme a Palumbo, alla ricerca di noi stessi.
L’inconscio del pittore è la realtà avvolta dal velo del mistero: la luna, il cavallo, il deserto sono icone riconoscibili, ma la loro associazione ed il loro inserimento in un paesaggio transitorio fatto di quinte aperte, strutture in volo ed elementi che conducono in viaggio, suggeriscono nuove suggestioni derivanti da un poliedrico mondo fantastico, che ha suoi protagonisti e sue storie da raccontare, ma un’unica anima, che è necessità artistica.
Per Palumbo partire diviene allora, come il narrare per Sherazade, una questione di vita o di morte, un’esigenza di espressione che è salvezza, un’illusione magica e giocosa destinata a fronteggiare la barbarie quotidiana dell’esistenza, una visione che si può avere semplicemente chiudendo gli occhi e continuando a viaggiare in sogno verso noi stessi.
In questa narrazione visiva, il colore e le linee possono stupire come le parole di una fiaba contemporanea, possono permettersi di deridere la realtà con fantasia e di evocare un mondo in cui gli archetipi cambiano significato, in cui persino il cavallo di Troia, da portatore di sventure diventa portatore di gioia come i cannoni di bronzo di un racconto di Rodari.
“Lo Stragenerale Bombone Sparone Pestafracassone ordinò: - Fuoco! Un artigliere premette un pulsante.E d’improvviso, da un capo all’altro del fronte, si udì un gigantesco scampanio: Din! Don! Dan! Noi ci levammo l’ovatta dalle orecchie per sentir meglio.- Din! Don! Dan! – tuonava il cannonissimo. E centomila echi ripetevano per monti e per valli: - Din! Don! Dan! - Fuoco! – gridò lo Stragenerale per la seconda volta: Fuoco, perbacco! (..)Poi ci fu un momento di silenzio. Ed ecco che dall’altra parte del fronte, come per un segnale,
rispose un allegro, assordante: - Din! Don! Dan! Perchè dovete sapere che anche il comandante dei nemici, il Mortesciallo Von Bombonen Sparonen Pestafrakasson, aveva avuto l’idea di fabbricare un cannonissimo con le campane del suo paese. - Din! Dan! – tuonava adesso il nostro cannone.- Don ! – rispondeva quello dei nemici. E i soldati dei due eserciti balzavano dalle trincee, si correvano incontro, ballavano e gridavano: - Le campane, le campane! festa! scoppiata la pace!” Sembra di assistere al tentativo, da parte dell’artista di trovare una risposta al quesito proposto in prosa da Michael Ende, secondo cui “soltanto chi lascia il labirinto può essere felice ma soltanto chi è felice può uscirne”.
La ricerca, compiuta tramite il viaggio interiore, che permette di oltrepassare con mezzi tangibili il confine del reale, da’origine ad una poetica coerente portata avanti con volontà espressiva, al centro della quale si situa, come un’apparizione simbolica su di una tela, la grande sfera immaginaria della magia.
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